C’è una canzone ricorrente che mi fa ridere e piangere allo stesso tempo e rispecchia il mio pot-pourri interiore, ancor prima del mio equilibrio diversamente stabile. “Felicità puttana” è il sorriso alla prima strofa e la commozione alla seconda. È quella felicità semplice e densa messa in musica che mi fa cantare a squarciagola in macchina (l’allegoria dell’apparente spensieratezza) e che mi fa piangere di gioia. È quella commozione per chi non c’è più e si manifesta in qualche passaggio di note e parole. A loro, solo a loro, vorrei raccontare faccia a faccia la mia fatica, i miei pensieri, i miei tormenti, i miei conflitti, la mia gioia, soprattutto la mia gioia, o in alternativa, vorrei mandare un vocale di 10 minuti con la certezza che lo ascolterebbero. Mi commuove immaginare le loro espressioni beate se gli mandassi un vocale di 10 minuti per dirgli quanto sono felice. Perché me lo devo e glielo devo, continuo a ripetermi tutte le volte che le mancanze si ingigantiscono. Stanotte ho sognato che lei stirava all’una di notte ed io la guardavo. Le nostre chiacchiere riempivano la casa. E lì, in quel preciso istante, c’era racchiusa la mia felicità, nascosta nella semplicità delle presenze importanti.https://youtu.be/WK5JqexMznc