Scendo i numerosi gradoni verdi che conducono al lido, cammino per raggiungere la fetta di spiaggia libera dove adagerò il mio telo e sopra di esso il mio zaino e me stessa, mentre cammino produco un migliaio di pensieri al secondo, ho indosso una casacca bianca avuta in dono in una spensierata giornata di metà Agosto, è leggera e svolazzante e mi tiene ancora aggrappata agli scampoli d’estate, rallento il passo davanti alla fontanella tubolare, quella che è d’uopo in ogni stabilimento balneare, che serve agli adulti a sciacquarsi i piedi e togliersi i granelli di sabbia dalle ginocchia in giù e ai bimbi a riempire palloncini che diventeranno gavettoni e fucili che spareranno l’unica cosa che andrebbe sparata procurando urletti e risate; le pozzette di sabbia bagnata intorno alla fontanella dipinta di un azzurro ferrotranviere scrostato e sverniciato, mi riportano con la mente alla mia infanzia di trasferelli pressati sulle braccine ed inumiditi sotto la fontanella di Ostia-Lido con la speranza che la figura fosse riprodotta per intero sul pezzo di pelle scelto e non ne rimanesse neanche una piccola parte attaccata al foglio. È in quel momento, di testa assorta, che arriva lui, il piccolo Edoardo, di 3 anni e mezzo, che con il faccino d’angelo, impiastrato di cioccolata dalla testa ai piedi comprese le mani piccine, mi chiede di aiutarlo a pulirsi strofinando bene (“storfina storfina!”, per la precisione, nel suo gergo). Me ne vado a letto riflettendo ancora una volta su quante cose fiche, ingenue, tenere ed istintive possono fare i bimbi che noi adulti abbiamo dovuto adattare ai codici, alle norme, alle proibizioni, alle maniere. Me ne vado a letto da “donna vedrai bambina se lo sai”, così adulta da non poter mai rinunciare alla bambina che è in me.