Ore 19.30. Lungomare. Schiere di case fronte mare, tutte con facciate nelle tonalità calde della terra, ai piedi di una di queste villette un angolo di giardino adibito alla cena. Al centro dell’angolo un tavolino basso kotatsu ricoperto da un futon blu elettrico apparecchiato con piatti e bicchieri colorati, tanti faretti ad illuminare l’angolo, cuscini sparsi a terra e una decina di ragazzini appena risaliti dalla spiaggia che si gonfiano di Coca Cola. 15 anni circa, ciabattanti, costume sceso, sporchi di salsedine, telo mare usato come pareo. Atmosfera perfetta lì. Durante l’ora di mio eccezionale inverosimile sporadico walking avrò incrociato almeno altre 100 vite tutte in movimento a parte alcune coppie di nonnini romantici seduti sulla panchina davanti ad un tramonto che concede loro la speranza e l’illusione che il tempo si fermi e si fissi lì incorniciando il momento. Esistenze luminose, briose con l’estate dentro, esistenze silenziose e malinconiche con i gomiti poggiati sul muretto, la testa sorretta dai pugni che parlano agli amici mantenendo lo sguardo dritto al mare e cercando di prendere con filosofia il fatto che siano gli ultimi giorni di permanenza vacanziera nella casa al mare. Poi torneranno in città, nel loro tetro ufficio ad un’ora di distanza, risucchiati dal traffico e dal caos, rientreranno tardi la sera e si nutriranno di un immangiabile pollo di rosticceria o di un fast food qualunque ripensando alle lente cene a base di pesce e alla compagnia numerosa. Esistenze che si incontrano o si riuniscono nel luogo che favorisce la comunanza e la condivisione. Sono vicini di casa, di ombrellone. Si mescolano, si confondono, si ascoltano serenamente. Fanno di tutto perché la comitiva, l’amalgama e la convivenza funzionino. Tutto questo, per fortuna, è energia.