Mamma. Colei che genera, prepara, misura, forma. Tre emme ravvicinate che sanno subito di attaccamento simbiotico, calore, rifugio, sarà perché, come prima immagine e sonorità, richiamano la prima parola pronunciata da un bimbo che inizia a prendere confidenza con il linguaggio e la articola balbettando una raffica di ma-ma-ma-ma. Si narra infatti sia nato prima il suono sillabato, tra i più semplici da emettere per un cucciolo d’uomo, che la parola. Ed è forse per questo motivo, per via di queste emme panciute e infantili, che, pure a 50 anni, ogni volta che chiamiamo mamma ritorniamo sempre un po’ bambini, al sicuro come quando eravamo piccoli, come tutte le volte che siamo tornati sfiniti, con il cuore a pezzi, e lei era lì con la cena pronta e qualche pietanza ancora sul fuoco da sistemarti in pratiche teglie d’alluminio e farti conservare in freezer per le emergenze o per quelle sere che proprio no non ti va, lei era lì con le parole giuste, il sostegno necessario, l’ovile soffice. Io di mamme ne ho avute due. Non parlo esattamente delle mie nonne, anche se ci tengo a celebrare quella paterna che ho considerato una madre nella figura e nel sentimento provato, nella paura di perderla superati i 90, con cui ho condiviso stanza e letto per 15 anni e che mi ha difesa, viziata, resa pasciuta, redarguita sulla scelta dei fidanzati (ce ne fosse mai stato uno adatto!) e sui comportamenti assunti quando li riteneva esageratamente sconsiderati, che tutte le notti prima di dormire mi raccoglieva i capelli in una treccia, l’unica che ha sempre creduto veramente ai miei malesseri teatrali inscenati prima della giornata scolastica. Parallelamente a nonna Silvia c’era la mamma tra le mamme, Rossana, la mia. Quella che rivivo e ritrovo nei miei sogni e nei miei ricordi. Grintosa, timorosa, coraggiosa, con un passato non facilissimo alle spalle, le fragilità e le insicurezze come strascico e ripercussione. Eppure forte e materna. Grazie a lei, amante della casa, di Coin casa, Zucchi, Caleffi, della biancheria, delle coperte, dei cuscini, degli utensili, dei servizi di piatti, delle batterie di pentole, dei set di posate, non mi sono mai recata da Ikea per necessità ma solo
per diletto. E mi piace che a casa ci siano oggetti del passato, coperte tramandate, strumenti da cucina toccati e maneggiati, nel tempo, da almeno 6 mani. Da quando è arrivata Jena però abbiamo dovuto dividerci molto coperte e anche l’affetto. Si guardano con uno sguardo indescrivibile e si proteggono con fastidiosa morbosità. Allora come adesso, adesso più d’allora, ora che la mia mamma si è trasformata diventando una figlia bisognosa di cure ed io una mamma sui generis. Di fatto le dinamiche sono le stesse, ma l’età effettiva e la maternità, tradottasi in due figli ormai cresciuti, la allontana dall’essere bimba, e allora a volte il pensiero si fa più struggente e tutto è così surreale e contro-natura, ma quando ci manda a quel paese e dopo il nostro rimprovero finge di aver inveito e apostrofato qualcun altro – un personaggio fantastico più o meno come l’amico immaginario -, oppure quando decide di voler invitare a casa per un caffè una serie di amiche mai sentite prima radunandole semplicemente con un gesto della mano, o quando apre la bocca in automatico pronta ad infornare la qualunque e dire che è buonissima pure se trattasi di zucchine e pescetto lessi, ecco sì, quando si verificano certe gag, ho imparato a coglierne tutto il lato comico. Ho imparato ad accettare e ad accettarla in questa nuova forma ed espressione. Certo, non è semplice doverla interpretare e sentirsi impotente davanti allo sforzo di comunicazione e alla difficoltà di farsi comprendere, che ormai è più una mancanza che una difficoltà. Ma il regalo più grande me lo fa ogni giorno, semplicemente essendoci. E incredibilmente, grazie alla forza dell’amore, il regalo in assoluto più gradito me lo ha fatto proprio oggi, lei a me, dicendomi, quasi mi leggesse nel pensiero, come se l’amore riuscisse davvero con la sua forza superiore a tutto, a restituirle quanto perduto, “guai a chi me la tocca, la mia bambina!” e nel frattempo ha steso a fatica il braccio ormai piegato e avanzandolo tremulo in avanti ha teso una mano aperta sul mio viso. Si può perdere la consapevolezza di sé, ma mai quella dell’amore trasmesso e avvertito. Chissà se mi vede ancora bambina, io oggi voglio sentirmici.
Maggio 2016, ancora con noi.
Auguri, amore mio💗! Ti preparo la colazione! Magari più tardi, tanto a te va bene tutto. E mica solo contro, eh!
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Bellissimo.
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